La Cassazione torna a fare il punto sul tema della detraibilità IVA delle fatture soggettivamente false e della prova indiretta della consapevolezza del contribuente di essere parte di una frode.
Per la Cassazione non è ammessa la detraibilità ai fini IVA di fatture soggettivamente inesistenti, a meno che il contribuente non dimostri che non era o non poteva essere consapevole della frode. Mentre il costo ai fini delle dirette è deducibile se si riferisce all'acquisto di beni o servizi destinati alla commercializzazione e soddisfa i requisiti di certezza, inerenza, ecc., richiesti dal Testo Unico delle imposte sui redditi.
La Cassazione torna sul tema degli effetti dell'utilizzo di una fattura soggettivamente inesistenteL'ipotesi è quella della simulazione relativa, laddove cioè uno dei soggetti indicati nel documento fiscale (nello specifico l'emittente) sia diverso da quello reale. In casi simili, per la Cassazione occorre distinguere tra IVA e Imposte dirette, perché le conseguenze sono differenti.
Ai fini IVA la detraibilità dell'imposta deve essere negata, a meno che il contribuente non sia lui a dimostrare di non essere consapevole o di non poter essere consapevole di aver preso parte a un'operazione fraudolenta. Quindi, per la Cassazione, nella specifica materia c'è una presunzione legale relativa di consapevolezza del contribuente di essere parte di una frode.
La Cassazione richiede che l'onere della prova sia assolto dall'Amministrazione finanziaria che, anche attraverso l'uso di presunzioni semplici, deve dimostrare che il contribuente fosse consapevole della frode (in realtà dovrebbe dimostrare che sia parte di un contratto simulato e parte di un altro contratto dissimulato). La Cassazione sembra invertire l'onere della prova sul contribuente con riguardo alla circostanza della inconsapevolezza della partecipazione alla frode. Ma la questione non è chiarissima, perché l'ordinanza fa anche riferimento all'accertamento positivo compiuto dai giudici di secondo grado, lasciando intendere che l'onere della prova dell'amministrazione finanziaria sia stato assolto.La questione resta tuttavia ambigua, e non tanto su chi deve provare cosa, quanto sull'oggetto della prova, che non è (come dovrebbe essere) l'esistenza di un accordo simulato tra le parti contrattuali, quanto piuttosto se il contribuente possa o meno essere consapevole di far parte di un più ampio meccanismo fraudolento (il caso di scuola è quello delle frodi carosello).
E proprio su questo punto l'orientamento della Cassazione è contrastante. Da un lato l'orientamento più rigido che ritiene provata la consapevolezza sulla base di indici di “inesistenza soggettiva” che il contribuente avrebbe dovuto verificare, dall'altro l'orientamento più ragionevole che richiede una prova diretta della consapevolezza, non ritenendo sufficienti indici oggettivi (ad esempio il fatto che il venditore era una cartiera).
Quest'ultimo orientamento è senza dubbio quello più affine all'indirizzo della Corte di giustizia europea per la quale va riconosciuto il diritto alla detrazione in capo al soggetto cessionario sebbene la società che aveva emesso le fatture risultasse un soggetto inesistente in quanto non era registrata ai fini dell'IVA, non presentava dichiarazioni fiscali, non pagava imposte, non disponeva di autorizzazione per la vendita dei beni fatturati e aveva stabilito la propria sede legale in un immobile fatiscente che, di fatto, rendeva impossibile lo svolgimento di qualsiasi attività economica.